La nuova crisi dell'ex Ilva colpisce anche Novi

L'ex Ilva, ora Acciaierie d’Italia, in amministrazione straordinaria ha comunicato ai sindacati l’avvio della procedura di cassa integrazione per 3.926 dipendenti, di cui 3.538 nello stabilimento di Taranto. La decisione è stata motivata dal dimezzamento della produzione, conseguenza diretta del sequestro dell’altoforno 1 disposto dalla Procura, in seguito al grave incendio avvenuto il 7 maggio scorso, causato dallo scoppio di una tubiera.

 

La richiesta di ammortizzatori sociali ha riguardato anche 178 lavoratori del sito di Genova, 165 di quello di Novi e 45 a Racconigi. Le ricadute del sequestro dell’impianto tarantino, hanno fatto sapere fonti sindacali, non si stanno limitando alla Puglia ma si estendono a tutti gli stabilimenti del gruppo, riaccendendo nel contempo i riflettori sul processo di vendita dell'ex Ilva, attualmente in una fase di stallo.

 

 

Il governatore del Piemonte, Alberto Cirio, su sollecitazione del sindaco di Novi, Rocchino Muliere, avrebbe convocato un tavolo tecnico regionale, la cui data è in fase di definizione, per affrontare le ricadute occupazionali e industriali della crisi in atto. I sindacati hanno espresso preoccupazione per l’ampliamento della cassa integrazione autorizzata lo scorso marzo, segnalando un aumento significativo del numero di lavoratori coinvolti, passato da circa 3.000 a quasi 4.000 unità.

 

Le posizioni dei sindacati

Nel corso di un incontro a Roma tra rappresentanti sindacali e azienda, Luigi Tona (Fim Cisl Alessandria) avrebbe spiegato che la discussione ruota attorno a due direttrici principali: l’estensione della cassa integrazione e il futuro della vendita dell’azienda. Tona avrebbe sottolineato l’urgenza di un incontro con il governo, ritenuto necessario per ottenere chiarimenti sul piano industriale, radicalmente mutato dopo il blocco dell’altoforno.

 

Sulla stessa linea si sarebbe espresso anche Maurizio Cantello (Fiom Cgil), che avrebbe denunciato la mancanza di trasparenza da parte dell’azienda e la carenza di garanzie occupazionali e salariali. Il sindacalista avrebbe evidenziato come la situazione attuale metta in discussione gli impegni assunti nei precedenti accordi, in particolare per quanto riguarda la sicurezza degli impianti e la decarbonizzazione.

 

Alberto Pastorello (Uilm Uil) avrebbe invece puntato il dito sulla scarsa comunicazione da parte dell’azienda e sull’incertezza che grava sul nuovo piano industriale, affermando che anche numeri relativamente contenuti, come quelli di Novi, assumono significato se letti nel contesto della vendita.

 

Tante perplessità

Le sigle sindacali avrebbero poi espresso forti dubbi sulle reali intenzioni degli acquirenti, facendo riferimento a indiscrezioni secondo cui Baku Steel sarebbe intenzionata a rinunciare all’acquisto, mentre Jindal – un tempo interessata – starebbe ormai guardando verso altri mercati, come quello slovacco. Parallelamente, il governo italiano starebbe tentando di coinvolgere il colosso cinese Baosteel, ma senza alcuna conferma ufficiale.

 

Le perplessità, si apprende, riguarderebbero i costi legati all’attuazione dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) e un possibile aumento del 5% sul costo del gas deciso dalla Regione Puglia. Questi elementi renderebbero ancora più incerta la prospettiva di alimentare lo stabilimento tarantino attraverso un rigassificatore.

 

Il sindaco Muliere avrebbe quindi chiesto maggiore coinvolgimento dei territori nella gestione della crisi, invitando il ministro Urso a condividere con chiarezza informazioni e strategie, affinché – ha sottolineato – non siano ancora una volta i lavoratori a pagare le conseguenze dell’immobilismo.