Continua la profonda crisi dell’ex Ilva anche a Novi

La crisi dell’ex Ilva continua ad alimentare incertezze sia a livello nazionale sia a Novi, dove lo stabilimento locale risente direttamente delle criticità produttive e finanziarie del sito principale di Taranto. Il recente incontro svoltosi a Palazzo Chigi tra il governo e le principali sigle sindacali non ha fornito indicazioni risolutive sul futuro dell’acciaieria, lasciando irrisolti i nodi relativi al piano industriale, alla continuità produttiva e al processo di decarbonizzazione.

 

200 milioni per tamponare

L’esecutivo ha confermato l’intenzione di varare un nuovo decreto per garantire le risorse necessarie alla prosecuzione delle attività, al finanziamento della cassa integrazione straordinaria e alla messa in sicurezza degli impianti. Secondo fonti governative, l’ammontare dell’intervento potrebbe aggirarsi intorno ai 200 milioni di euro. Tuttavia, né i dettagli tecnici del provvedimento né gli sviluppi sulla trattativa per la cessione degli asset industriali sono stati chiariti. Permangono dubbi sul futuro della trattativa con gli acquirenti stranieri – tra cui Baku Steel, Jindal e Bedrock – e sull’effettiva volontà dell’esecutivo di giungere a una soluzione strutturale.

 

Il governo ha ribadito l’impegno a garantire la continuità operativa degli impianti fino alla definizione di un accordo di programma sulla decarbonizzazione e all’ottenimento della nuova Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), prerequisiti fondamentali per la cessione degli stabilimenti. Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha auspicato che il nuovo sindaco di Taranto si esprima favorevolmente su due infrastrutture chiave – nave rigassificatrice e desalinizzatore – considerate essenziali per il rilancio del polo siderurgico pugliese.

 

Un vertice deludente con i sindacati locali esclusi

Le rappresentanze sindacali nazionali hanno espresso delusione per l’esito del vertice, ritenendo insufficienti le rassicurazioni ricevute e denunciando l’assenza di una visione chiara sul futuro produttivo e occupazionale dell’azienda. Un malcontento condiviso anche dai sindacati locali, rimasti esclusi dalla partecipazione diretta all’incontro. A Novi, in particolare, cresce la preoccupazione per il possibile incremento del ricorso alla cassa integrazione, che, secondo le stime attuali, coinvolgerebbe circa 500 lavoratori del sito piemontese, a fronte dei 4.000 complessivi a livello nazionale.

 

La produzione nello stabilimento novese risulta fortemente condizionata dai problemi operativi di Taranto, dove al momento solo un altoforno è in funzione. Le scorte di materie prime, secondo fonti interne, garantirebbero la continuità produttiva fino a fine luglio. In tale contesto, il sindaco di Novi, Rocchino Muliere, ha sollecitato la Regione Piemonte alla riattivazione del tavolo tecnico regionale, sottolineando la necessità urgente di una riflessione condivisa sulla situazione locale e sull’impatto della crisi sull’economia del territorio.

 

L’altoforno elettrico e il no all’ampliamento della cassa integrazione

Parallelamente, si torna a discutere della possibile realizzazione di un altoforno elettrico a Genova, che potrebbe fornire supporto anche allo stabilimento novese, ipotesi che rientrerebbe nel più ampio progetto di transizione ecologica del comparto siderurgico nazionale.

Nel frattempo, le organizzazioni sindacali insistono su due fronti: evitare qualsiasi ulteriore ampliamento del ricorso alla cassa integrazione e ottenere garanzie tangibili su un piano industriale credibile, sostenibile e condiviso. In assenza di risposte concrete, cresce il rischio che le tensioni sociali nei territori più coinvolti possano ulteriormente acuirsi, aggravando una crisi industriale che dura ormai da oltre un decennio.