Intanto cresce ancora il numero di casi di peste suina nelle due regioni

Continua ad aumentare il numero di casi di peste suina africana registrati dall’Istituto Zooprofilattico tra il Piemonte e la Liguria – il totale è salito a 473, di cui 309 nella nostra regione – e i confini della zona infetta sono arrivati fino all’Emilia Romagna e all’Astigiano. Le carcasse dei cinghiali vengono trovate in Comuni sempre più a ridosso della zona rossa, mentre si teme la possibile entrata in vigore di nuove limitazioni decise dal nuovo commissario per l’emergenza.

E’ passato più di un anno dall’inizio dell’emergenza e le diverse associazioni di categoria colpite dalle ancora esistenti problematiche legate all’emergenza Psa, tra cui anche l’Arci Caccia provinciale, temono le conseguenze di una nuova “stretta” sulle attività outdoor nelle zone di restrizione, alla luce delle notizie ancora “ufficiose” trapelate dagli ambienti regionali e provinciali.

L’Arci Caccia provinciale ha pertanto deciso di inviare un documento a Regione Piemonte, Provincia di Alessandria e al Commissario Straordinario Vincenzo Caputo, riportante una serie di considerazioni anche in ragione dei contenuti della relazione del GOE (Gruppo Operativo degli Esperti), redatto lo scorso gennaio, nel quale si dice che “il gruppo non esclude che il peggioramento della attuale situazione epidemiologica regionale sia da ascrivere proprio all’attività venatoria che si sta conducendo sul territorio regionale.”

L’Arci Caccia ha ribadito l’importanza della caccia al cinghiale programmata,  specificando che “i dati numerici dei prelievi, ove consentiti, forniscono report imbarazzanti che inducono a ritenere come un contenimento e riduzione numerica della specie non possa che avvenire ricorrendo a tale tipologia di caccia” e ricordando “le diverse proposte giunte sui tavoli istituzionali, in alcuni casi molto dettagliate con previsione addirittura di regole di ingaggio certe”. A questa si aggiungono le considerazioni riguardo l’atteggiamento favorevole verso l’attività venatoria diretta ad altre specie, i cui punti cardine sono il “disturbo determinato dal girovagare sul territorio e tale da indurre le movimentazioni dei branchi di cinghiali” e la “possibile dispersione e ulteriore diffusione di tracce infette sul terreno o trasferimento delle stesse in aree indenni”.

“Le forme di caccia dirette ad altre specie diverse dal cinghiale non disturbano minimamente il cinghiale inducendolo ad effettuare spostamenti di rilievo e chi afferma il contrario mente sapendo di mentire. – spiega l’Arci Caccia – Riguardo al secondo punto, i boschi e i campi attraversati dall’uomo e dal suo cane si popolano nottetempo di una moltitudine di animali che intesse una fittissima rete di movimenti con capacità di intersecazione di tracce infette e diffusione delle stesse migliaia di volte superiore. Quale controllo abbiamo su tali dinamiche naturali? Nessuno. Per quanto riguarda l’uomo abbiamo introdotto le regole di biosicurezza”.