Nel futuro della val Borbera una sua rinascita? Le considerazioni di un lettore

La prima edizione della Festa d’Autunno in val Borbera ha avuto un ottimo riscontro. Un tentativo, riuscito, di organizzare eventi tra Cabella e gli altri paesi borberini oltre il florido periodo estivo. Una manifestazione che, di fatto, ha trainato le successive, dedicate al Natale, che si stanno svolgendo in questi giorni.

 

Riceviamo e pubblichiamo, in merito a quell’evento, la lettera di un lettore. Tra il successo della Festa e le considerazioni future sulla valle.

 

La pandemia di Covid 19 ha segnato profondamente il cammino dell’umanità intera, rimettendo in discussione molte delle certezze sulle quali si era costruito il modo di vivere dei popoli della terra, almeno di quelli che, per pura fortuna e nessun merito, sono nati in quella  parte del mondo che per circa un secolo non ha dovuto combattere contro epidemie o altre malattie mortali.

 

Tra le certezze che crollano, vi è soprattutto quella che gli uomini possono sderenare, a proprio uso e consumo, la natura ed i luoghi del vivere senza doverne mai pagare pegno. Se non lasciando alle nuove generazioni un futuro incerto e sicuramente peggiore del presente e del passato vissuto.

 

Invece no, il tempo senza sconti da pagare è ora, qui e nel resto del pianeta che si credeva immune.

 

Se, come appare evidente, in crisi va l’intero sistema (economico, ambientale, sociale, sanitario…) si deve prendere atto che la pandemia ha solo portato all’estreme conseguenze un modello di società che, ormai da tempo, non reggeva più, schiacciato dalla logica della produttività esasperante dell’economia legata alla compressione dei salari, dei diritti e della salute, dalla cancellazione dai bilanci degli Stati delle voci riguardanti la sanità pubblica e le tutele sociali, dalla competitività tra imprese e  paesi sempre e solo basata sul “ribasso”, insomma le linee guida che prospettano agli uomini e alle donne il solito slogan: nasci, produci, consuma e crepa.

 

In nome di ciò, anche questo Paese, ha piegato il suo modello di sviluppo, legato, tra le altre cose, all’abbandono delle campagne e delle montagne. A favore della concentrazione abnorme nei grandi centri urbani. Alla cancellazione delle attività artigianali e dell’agricoltura che teneva il ritmo dell’uomo e delle stagioni. A favore di processi di produzione intensiva che hanno drasticamente cambiato persino la fisionomia stessa delle campagne e delle montagne.

 

Lo spopolamento di interi territori, come avvenuto per la Val Borbera ha consegnato le terre all’abbandono e all’aumento esponenziale del rischio idrogeologico, trasformando questi paesi, molte volte, in piccoli luoghi quasi disabitati che, quando va bene, ritornano un po’ alla vita nei mesi estivi o durante le feste, ripopolandosi con i “villeggianti” e i ritorni a casa di chi vive ormai dove lavora, altro concetto che ha condizionato pesantemente il destino degli uomini e delle donne nella storia del’900 e non solo. 

 

Una nuova comunità

Per questo, vedere a Cabella Ligure il 17 Ottobre la sala dell’Albergo Posta piena di gente ad ascoltare il racconto di uomini e donne, per lo più di giovane età, che hanno scelto di vivere in Valle e li, in quei luoghi, di investire tempo e denaro per le loro attività, riempie il cuore e la mente di piacere a chi, come me, crede che la ricerca di un nuovo mondo e di un ordine nuovo passi attraverso il cambio netto dei paradigmi del vivere delle comunità.

 

Non sto a dire, nel dettaglio,  degli interventi appassionati di Irene Calamante o di Ezio Poggio che raccontano con passione del loro pane e vino di queste terre, o dell’emozione di Valentina  nell’enunciare la nascita, avvenuta pochi giorni prima, della sua Azienda Agricola specializzata in produzione dello zafferano. O della rabbia di Michele Negruzzo nel costatare come, tra le altre cose, le incurie delle vie di comunicazione e la debolezza dei servizi abbassi pesantemente le potenzialità di un territorio bellissimo dal punto di vita turistico.

 

Concetto ripreso e condiviso da Daniela Basso e Nikol D’Imporz che hanno avviato attività di  bed & breakfast nella vallata. O della scommessa, credo vinta, di Giacomo D’Alessandro e Silvia Gogna. L’uno con il cammino dei ribelli e l’altra con il ciclo turismo con le e-bike si sono inventati una modalità di “turismo lento” che, anche con la pandemia, ha portato in valle centinaia di persone che hanno imparato a conoscerla, amarla e godere dell’ospitalità e dei prodotti tipici di questi luoghi. Sono certo che scritti più dettagliati, in questo senso, si possono reperire da altre fonti.

 

A me preme sottolineare che loro ci sono, esistono,  e sono una realtà bellissima ( e credo non sia la sola) con la quale sarebbe bene confrontarsi per chiunque abbia a cuore le sorti di questa valle, il destino di chi la abita e se ne sente parte.

 

La ripartenza

Partire da lì. Partire da loro e da chi è riuscito a metterli insieme anche solo per raccontare, credo per la prima volta, la loro esperienza. Penso, in questo senso, alle pro loco e alle associazioni che animano gli eventi che hanno attraversato l’estate 2021. Quella che, in qualche modo e ancora parzialmente, ha fatto rimettere la testa fuori dopo le chiusure di mezzo mondo legate al covid. Oppure, alle amministrazioni comunali se hanno chiaro l’orizzonte dell’immediato (e del futuro) del loro agire politico.

 

Perché, a parte qualche piccola eccezione, mi pare che la grande assente da questo scenario, che a Cabella si è potuto intravedere, sia proprio la Politica. Quella con la P maiuscola. Quella che è chiamata ad indirizzare, organizzare, aiutare. Programmare il futuro dei popoli del mondo dopo la pandemia, anche di quelli di questi territori, nessuno escluso.

 

Se, come ormai molti riconoscono, e, in questo senso, invito a leggere le considerazioni che fanno associazioni come Riabitare l’Italia o Vivere la Montagna. Oppure quelle di autorevoli professionisti e intellettuali, non per forza “rivoluzionari”, come Stefano Boeri o Luca Mercalli. Il futuro del vivere non può che passare attraverso una riscoperta dei Borghi e dei territori montani. Ora quasi abbandonati, con conseguente “decongestione” dei grandi agglomerati urbani delle città. E’ ora che la politica (tutta) apra una seria riflessione su queste prospettive. Può farlo partendo dalle realtà di cui dicevo sopra.

 

E quei ragazzi e quelle ragazze, quegli uomini e quelle donne che hanno investito in questo senso il loro futuro, vanno aggregati e organizzati. Messi a “valore” (come si sarebbe detto una volta) nel fare “sistema”.

 

“Cooperazione attiva”

Devono continuare a vedersi e a parlarsi, in una sorta di “cooperazione attiva”, ognuno con le sue specificità, cercare e trovare ascolto per investimenti, progetti di lungo respiro, tutela del loro lavoro, analisi di impatto sul territorio, costruzione di progetti di integrazione piena nel cuore della società, non che li si veda come ingombro o “marziani” rispetto al tran tran quotidiano del vivere a Cabella o Albera o a Cantalupo,  Rocchetta o Mongiardino.

 

Se può esserci un futuro per queste valli, questi ed altri ragionamenti vanno fatti.

 

Chi ci rinuncia, sia essa la politica o le persone che vi abitano, ha già perso la sfida per il futuro. E chi ha vissuto di e la politica, come è accaduto a me, che amo questi posti come fossero miei, faticherebbe ad accettarlo.

 

In alto i cuori allora, e si provi a continuare.

 

Stefano Barbieri